Guerra All’infanzia: un Bilancio Del Nostro Tempo.

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Guerra All’infanzia: un Bilancio Del Nostro Tempo.

Negli ultimi tre anni abbiamo attraversato eventi drammatici che ci hanno toccato tragicamente: dal Covid a nuove guerre tanto vicine.

In queste settimane,  tradizionalmente dedicate ad analisi passate e prospettive future, ne abbiamo parlato con Elena Stefanini, responsabile affari legali, progetti e amministrazione.

I bilanci del 2023, lasciano spazio a nuove sfide, mentre “la Terza Guerra Mondiale a pezzi” (Papa Francesco), è una realtà innegabile. In che modo tutto questo si riflette sulle attività dell’Associazione KIM? Si può leggere nei “numeri” dei bambini accolti? Quali azioni e strategie possiamo mettere in atto?

Nel 2021 l’Associazione KIM ha accolto 27 bambini, nel 2022 62 bambini, nel 2023 80.
Ma una premessa è doverosa: parliamo di numeri, sapendo bene che ogni numero corrisponde a un sorriso, uno sguardo, una storia…siamo coscienti del fatto che i nostri numeri sono vite umane.
Ebbene, il numero delle accoglienze, e prima ancora delle richieste di “diritto alla cura”, è in continua crescita negli ultimi tre anni, da tutti i continenti.

Questo dice che l’Associazione KIM è l’approdo per tanti bambini che chiedono aiuto e che, quindi, ci stiamo muovendo nella direzione giusta, incontro a un bisogno.

Ma, prima di tutto, dice che l’infanzia è un’infanzia che sta male, che urla, spesso inascoltata.
Lo dice il numero e lo dimostrano i Paesi, le aree geografiche di provenienza dei nostri bambini, che sono praticamente aree geografiche di tutto il mondo. Dicono che questa infanzia proviene evidentemente da situazioni di forte vulnerabilità a trecentosessanta gradi. Vulnerabilità economica e sociale.

La situazione dell’Ucraina, l’instabilità dei Balcani, e poi via via tutto quello che sta succedendo in Palestina e Israele, In Yemen…e in tutte quelle aree di guerra fortemente e volutamente dimenticate dall’opinione pubblica, perché danno fastidio… Ebbene, i nostri bambini molto spesso vengono proprio da queste aree. Ma, anche dove non si spara o si bombarda, la guerra ai bambini inizia di fatto in ogni momento in cui all’infanzia non vengono garantiti diritti.

Vorrei che nel 2024 questi numeri potessero calare, di fronte a migliori tutele e garanze di cure. E invece…nella Terza Guerra Mondiale a pezzi, io ci metterei, al di là dell’uso delle armi, anche l’infanzia… Questa infanzia è territorio di guerra: i bambini nel mondo non sono tutelati, sono violati, sono abusati. Ogni volta che non hanno la possibilità di vedere garantiti i propri diritti. Cure mediche, istruzione, parità, futuro… dovrebbero essere davvero l’ABC. E invece la maggior parte dei bambini che si rivolge a noi, se li vede negare tutti insieme. Quanti di loro, sono arrivati magari a otto o dieci anni, senza essere andati a scuola e hanno avuto accesso all’istruzione per la prima volta. Quanti ancora hanno vissuto in completo e totale isolamento umano e sociale a causa della malattia e della disabilità. Questa è una guerra! Dichiarata da tutti i Paesi del mondo, quando non si sforzano di fare assolutamente nulla rispetto alla condizione dell’infanzia. (E spesso, per di più, con la contraddizione di essere Paesi che hanno sottoscritto, ratificato, e quindi tradotto in legge le più importanti convenzioni internazionali sui diritti umani). Perché, se fosse vero il contrario, le porte delle frontiere sarebbero fruibili a un bambino malato…e oggi non è così”.

Come rispondere a tutto questo? 

Sono convinta di una cosa. Quando noi vogliamo parlare di pace, di accessibilità ai diritti per tutti (cosa in cui credo fortemente, perché, sì, siamo nati in contesti culturali diversi, contesti religiosi diversi, ma siamo tutti figli di questo mondo, per cui i diritti sono di tutti) dobbiamo riempire questa parola di contenuti, comportamenti precisi, modi di fare, modi di pensare. E allora, quando KIM riunisce sotto lo stesso tetto persone di diversi Paesi (non solo i bambini accompagnati dalle loro mamme, ma anche noi, operatori, volontari, sostenitori…e chi con noi condivide quotidianamente questa missione), penso che compia un grande gesto di pace.

E allora qual è la strategia? È quella di continuare, malgrado tutto e tutti, con gesti di concretezza, quotidiani. Solo così si abbattono i muri della diffidenza e del pregiudizio. Nostri nei confronti dell’altro. Ma anche dell’altro nei confronti nostri, perché noi tendiamo purtroppo a vedere l’altro come un elemento di debolezza, ma l’altro vede in noi l’elemento di potere, di dominio…e quindi spesso non ci si incontra.

Non dico sia facile: la gestione del quotidiano impone un grande sforzo di organizzazione, di comunicazione e di ricerca fondi. E di attenzione al cambiamento. L’aumento numerico, oltre all’impatto economico, richiede infatti di attivare altri servizi funzionali alla tutela di cui tenere conto nel pianificare strategie per il futuro. Nel tempo, inoltre, abbiamo visto cambiare il concetto di accoglienza: anni fa le permanenze erano spesso di breve durata: due, tre settimane, un mese di ricovero e cure, e poi i bambini ripartivano facendo avanti e indietro da Paesi vicini, come Kosovo, Albania o Romania. (Tranne i casi in cui questo non era possibile, spesso per malattie oncoematologiche). Oggi la maggior parte di loro resta più a lungo. Dai tre mesi in su, e a volte uno o due anni, e oltre. Un tempo che richiede di pianificare altre attività: l’inserimento dei bambini nelle scuole del territorio, la possibilità che la mamma possa padroneggiare la lingua italiana, i permessi di soggiorno di lunga durata, in alcuni casi la richiesta di protezione internazionale, la ricerca di una piccola occupazione che possa dare alla madre la possibilità di seguire il figlio malato ma, anche, di cominciare a sentirsi un po’ più autonoma e indipendente.

Le sfide sono continue, ma la storia della KIM insegna che se ci si mette tutti insieme, condividendo le idee e le esperienze, anche e soprattutto  quelle nate dalle situazioni più dolorose, si trova la forza di camminare.
Quando ci si abbraccia, quando a una donna che ha lasciato il suo Paese per curare il proprio figlio, si dice “ ma tu, se io fossi stata al tuo posto, cosa avresti fatto?” E lei risponde “ti avrei aiutata”…
Ecco non servono altre parole per definire la strategia. Per me la Pace e il Futuro sono in questo abbraccio.

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Elena Stefanini lavora all’Associazione KIM dal 2007. Cresciuta fra gli Scout e la Roma, laureata in Scienze politiche, da sempre attivamente impegnata in attività legate alla cooperazione e all’accoglienza. Sposata con Ibrahima (Tra, per tutti), musicista senegalese, con cui ha avuto tre figlie. E con cui, fino all’ultimo giorno (e poi, ancora – solo in altra forma – oltre la sua prematura scomparsa) ha condiviso e condivide una vita orientata alla Pace, all’uguaglianza e ai diritti.

Non basta parlare di pace, bisogna riempire questa parola di contenuti concreti.
Elena